Goriziano doc, Gianni Menotti è interprete e tutore attento del suo territorio d’origine, che ben conosce e che ama vivere in tutte le sue molteplici potenzialità
Nato a Sagrado (GO) nel 1955, Gianni Menotti è un bell’esempio di “figlio d’arte” che ha saputo ereditare, metabolizzare e trasformare con intelligenza e personalità le competenze genitoriali in successi propri. Cresciuto, nel vero senso della parola, dentro l’azienda friulana Villa Russiz, gestita per ben 35 anni da suo padre Edino, Gianni completa gli studi di Agraria a Padova, per laurearsi in Enologia con una tesi sul Picolit. Dopo l’esperienza professionale in una importante fabbrica di presse meccaniche per uva, tornato nella sua terra, nel 1988 subentra al padre, ereditando le redini enologiche di quell’azienda che tanto ben conosceva e amava. Poco dopo intraprende la strada della libera professione, che lo vede consulente in primis di diverse aziende friulane e poi di altre regioni in Italia e all’estero. Un nuovo corso, iniziato ormai dieci anni fa, per lui ricco di novità e di casi enologici da affrontare, che lo ha portato a raccogliere una sfilza di successi sia personali (dal titolo di enologo dell’anno nel 2006 e nel 2012, a quello di Ambasciatore dall’Associazione Nazionale Città del Vino, sempre nel 2012) che aziendali, con l’abbonamento pressoché fisso dei suoi vini ai maggiori riconoscimenti delle guide di settore. Determinato e perfezionista, Gianni resta però uno con i “piedi per terra”, visto che è innanzitutto un attento osservatore del territorio, che conosce, rispetta e cerca di rendere sempre protagonista nei vini. Un territorio già di per sé molto ricco di potenziale, sul quale, a suo dire, l’uomo deve intervenire il meno possibile, concentrandosi solo nel lavoro di tutela da svolgersi sul campo, in vigna. Anche a livello enologico gli interventi devono essere limitati al minimo puntando, piuttosto, sul lasciare emergere la personalità e l’equilibrio degli elementi. Un equilibrio che Gianni anela anche nella vita privata, attuando la massima mens sana in corpore sano nel suo dedicarsi a molteplici sport all’aria aperta, oltre che alla scrittura, ai viaggi e alla fotografia.
Gianni, appena trentenne, ti sei ritrovato a ereditare e proseguire il percorso professionale di tuo padre a Villa Russiz. Cosa hai conservato del suo esempio professionale e in che modo invece sei riuscito a emanciparti dalla sua figura, creando uno stile e un approccio tutto tuo?
«Quando sono entrato a Villa Russiz è stato per me difficile solo il poter duplicare la figura di mio padre che è stato lì per 35 anni. In un certo senso, però, è stato anche facile, visto che quell’aria, quelle terre, quella storia l’ho sempre vissuta in primo piano, passeggiando con lui nelle vigne e respirando ogni giorno l’aria magica della campagna. Ovviamente dovevo anche mettere del mio, cambiando senza sussulti certi meccanismi tecnici, portando in azienda il sapere universitario della facoltà di Agraria di Padova. Il tutto senza rovinare gli equilibri consolidati che in agricoltura sono molto difficili da spostare. Pian piano ci sono riuscito e così l’azienda ha cominciato a sentire e provare le novità che ho voluto inserire».
Essendo cresciuto in campagna, sei un attento osservatore e conoscitore della natura. Come trasli tutto questo nel tuo lavoro di enologo? Che valore dai alla parte agronomica e al lavoro in vigna? E quali accortezze adotti invece in cantina?
«La facoltà di Agraria mi ha insegnato molto e quindi la parte agronomica è stata fondamentale nell’approccio a nuovi stili enologici. Conoscere la natura delle tue vigne diventa prioritario nel proporre poi un vino che risponda ai requisiti del territorio viticolo a cui appartiene. L’enologo quindi è semplicemente colui che non danneggia quello che la vite ha dato nel grappolo d’uva, cercando un approccio non invasivo e lasciando che il processo della vinificazione avvenga nel rispetto di una trasformazione il più possibile naturale. L’enologo deve essere un attento osservatore di queste trasformazioni, colui che guida senza deviare il normale percorso del grappolo nella bottiglia. Per cui il mio lavoro è stato ed è quello di conservare il più possibile la natura nel vino; gli equilibri consolidati dalla natura devono essere rispettati, accompagnati dalla precisa conoscenza di tutto il percorso enologico».
Parliamo di vitigni. Tu sei senza dubbio un punto di riferimento per quanto riguarda il Sauvignon blanc. In poche parole, cosa caratterizza questo vitigno? Cosa ami e cosa temi di più di esso? Quali peculiarità tende ad assumere in territorio friulano?
«Ogni enologo ha necessariamente particolari simpatie e per me è stato fatale il Sauvignon, il mio “primo amore enologico”. Sono stato attratto dalle sue specifiche caratteristiche che all’inizio della mia carriera cominciavano a sentirsi assaggiando le varie proposte che arrivavano da diverse parti del mondo. Era molto stimolante cominciare a proporre un Sauvignon che si poteva distinguere nel panorama enologico friulano e sapevo che questo vitigno poteva dare una grande risposta, vivendo in un territorio di enorme profilo enologico. Il risultato è stato quasi immediato e le prime emozioni sono arrivate degustando un vino diverso da prima, dove la componente aromatica e la potenza si intersecavano in un connubio quasi perfetto. Quindi profumi molto particolari ed eleganti si univano a una struttura molto complessa e si è capito che il Friuli poteva essere terra di grandissimi Sauvignon, assolutamente unici nel confronto con quelli provenienti da altre zone del mondo».
Tu sei stato uno dei primi a sperimentare il legno piccolo sui bianchi, a partire dallo Chardonnay. Che valore dai all’apporto del legno nei bianchi, in un momento storico “del gusto” in cui si tende a storcere sempre più il naso all’uso della barrique?
«Per lo Chardonnay l’approccio enologico è stato molto diverso rispetto al Sauvignon. Qui il rapporto con il legno diventa naturale, ma non deve essere predominante; deve essere solo un supporto per ottenere un vino di grande equilibrio consolidato nell’unione tra eleganza e potenza. Poi la moda del legno sì o legno no può cambiare, ma non può cambiare il concetto di grande vino. Questo lo si può ottenere con o senza legno ed è qui che interviene l’enologo con la sua professionalità che cercherà il rapporto perfetto tra gli elementi che definiscono il grande vino e tra questi il legno può essere determinante».
Che valore dai alla conoscenza e al rispetto di tradizioni, territori e uve locali?
«Per quanto riguarda le tradizioni direi che non possiamo prescindere da esse. Ritrovare vecchi vitigni e farli rinascere nella moderna enologia è molto stimolante; mantenere le vecchie tradizioni, rivisitandole nel presente è fondamentale specie in Italia che dei vitigni autoctoni detiene il primato mondiale. Quindi le nuove conoscenze unite alle vecchie tradizioni possono essere strategiche nella proposta enologica del nostro Paese. Resta comunque il fatto che anche i vitigni cosiddetti internazionali non vanno abbandonati, ma fatti propri del territorio che li coltiva, facendoli diventare “autoctoni” nelle specificità di ogni zona viticola».
Quante aziende segui in questo momento e in che regioni? C’è qualche territorio del vino o vitigno con il quale ti piacerebbe metterti alla prova?
«Il mio lavoro oggi si sviluppa principalmente in Friuli ma grandi soddisfazioni le ottengo anche in Basilicata, Sardegna, Toscana, Veneto, Slovenia, Croazia e Romania. Altri territori dove vorrei confrontarmi ovviamente ci sono e qualcosa già bolle in pentola».
Qualche prova, enologica e non, visto che sei anche uno sportivo, in cui ti piacerebbe cimentarti?
«Per quanto riguarda le prove enologiche particolari credo di averne fatte parecchie, ma credo anche che ogni annata è una prova unica e l’enologo ha quindi a disposizione ogni anno esperienze straordinarie. Nello sport il tennis e lo sci sono per me molto importanti e fanno parte di quell’equilibrio che cerco di raggiungere anche nella mia vita».
C’è un pensiero con cui vuoi salutarci?
«Sì, vorrei cogliere l’occasione per dedicare un ricordo affettoso a una cara amica che ci ha lasciato recentemente, Claudia Culot. Un riferimento professionale qui a Gorizia per tutti noi del vino oltre che una grande persona a livello umano. Ci mancherà».