Originario di Sagrado d’Isonzo, vive con Roberta nel bel centro storico, ricco di fascino mitteleuropeo, di Gorizia. Qui ha recentemente ristrutturato, con il buon gusto che lo contraddistingue, un minuscolo seminterrato e lo ha adibito a “rifugio”: una piccola area in cui accogliere gli amici, scambiare con loro qualche chiacchera, assaggiando magari qualche bella etichetta, senza fretta: è proprio qui che ci siamo dati appuntamento. Appassionato di tennis e sci alpino, riceve, da queste faticose discipline sportive, una sorta di eterna giovinezza che si traduce in un fisico asciutto e atletico. Figlio d’arte. Prima il nonno, poi l papà Edino, che fu l’enologo per ben 35 anni in un’azienda simbolo del Collio, inconsapevolmente, indirizzarono Gianni verso la passione per il vino. “In realtà ho frequentato le vigne e le cantine fin da bambino – ama ripetere – mio malgrado”.
La verità è che Gianni ha sempre avuto una passione sfrenata per la natura e questo l’ha portato a una laurea in scienze agrarie e in enologia all’Università di Padova. L’ingresso al lavoro è stato rapido e in breve, grazie alle indiscusse capacità, è diventato uno dei punti di riferimento per l’intero panorama vitivinicolo friulano.
Due decenni presso un’importante azienda e poi la scelta di dedicarsi alla libera professione prestando la sua collaborazione ad alcune importanti aziende regionali, ma anche in Veneto, in Toscana, in Basilicata e in Sardegna. Moltissimi i premi e i riconoscimenti che Menotti ha ricevuto: l’elenco sarebbe lunghissimo ma mi piace citarne due su tutti. Nel 2006 eletto “miglior enologo” dal Gambero Rosso e lo stesso riconoscimento nel 2012, val l’Oscar del Vino.
“Creare un vino è emozione. Senza di essa – mi dice Gianni, stappando una bottiglia – rischi di fare un vino banale. Anche un piccolo difetto in un vino a volte emoziona. Fare un vino e scoprire che ha qualche piccola mancanza, rispetto a qualcosa che tu hai come modello, ti fa intuire che magari quell’imperfezione diventa una cosa in più, che dà personalità. Infatti, le grandi scoperte derivano da errori o da percorsi diversi da quelli tradizionali. Qui in Friuli sembrerebbe più acile fare vino perché questa terra meravigliosa ti regala una materia prima eccezionale e tu non devi esprimerti tecnicamente se non lasciando che la natura faccia il suo corso ma in realtà la difficoltà sta proprio in questo tuo saper dialogare con la natura. In altre aree meno fortunate, dove magari uno si deve arrabattare con il rischio di diventare più un chimico, per certi versi il lavoro è più facile ma i risultati difficilmente sono ottimi. Io sono affascinato dalla natura, mi esalta e mi rilassa. Quando sono stressato mi rigenero facendo una bella passeggiata nella vigna. Quando vuoi ritrovare te stesso devi rientrare nella natura che ti dà carica per poterti confrontare con te e con lei.
“Tu hai un tuo stile riconoscibile – gli dico – così come lo possiedono anche gli altri grandi wine-maker. Quando si assaggia qualcosa di tuo si coglie sempre la tua mano felice.” “Io pensavo – Gianni versa nei calici il Bâtard-Montrachet che ha prelevato dall’avveniristica mensola – di non averne uno mio, soprattutto all’inizio credevo che lo stile fosse una cosa difficile da ottenere anche perché tutto sommato il vino è un processo chimico-naturale ma è indiscutibile che quello che tu sei lo esprimi anche in quello che fai. Il mio stile forse vuole significare semplicemente le mi e attenzioni, il mio modo di essere, il mio modo di comportarmi nella vita. Ho sempre cercato le cose eleganti, raffinate, lineari e questi aspetti , come mi piacciono nella vita, me li porto anche nel mio lavoro che è fare il vino. Mi sono accorto che assaggiando dei vini alla cieca, anche dopo tanti anni, riconosco i miei, e quindi, uno stile, di fatto, c’é. All’inizio della mia carriera no riuscivo, adesso sì: ti dirò anche questo mi emoziona moltissimo.”
La conversazione prosegue e il tema si sposta sulla viticoltura locale. “Sauvignon, merlot, malvasia e tocai friulano. Credo che questi vitigni rappresentino, più di altri, il meglio della viticoltura regionale e i vini che se ne ricavano hanno una marcia in più: io ne sono sempre più innamorato e sono i miei preferiti.
Ultimamente sto apprezzando moltissimo il Vermentino di Gallura. Ho il piacere di collaborare con l’azienda Jankara e questo vino mi affascina.” “E il Pino Grigio?” Lo incalzo un po’. “è un grandissimo vino e guai ad abbassare la guardia della sua qualità, il danno sarebbe enorme per l’immagine del comparto enologico regionale che invece deve fare sempre più sistema. La nostra regione deve concentrarsi sulla qualità e lavorare al massimo affinché il suo brand sia riconosciuto sempre di più ed entri definitivamente nell’Olimpo delle grandi zone mondiali del vino.
MangiaVino luglio 2015