deve cambiare il modo di fare vino?




Negli ultimi anni i consumatori prediligono vini rossi più freschi e fruttati. Cosa comporta questo cambiamento per i produttori? Sono mode passeggere o richiedono delle modifiche strutturali in cantina? Lo abbiamo chiesto a due enologi di riconosciuta fama: Emiliano Falsini e Gianni Menotti

L’OPINIONE DALLA TOSCANA
Emiliano Falsini, toscano, consulente ed enologo per numerose aziende sul territorio nazionale. «È innegabile che negli ultimi anni abbiamo assistito in maniera evidente a un cambio stilistico nei vini prodotti non solo in Italia, ma in linea generale in tutto il Mondo, compresi i cosiddetti Paesi del Nuovo Mondo.
Eleganza, freschezza, mineralità e verticalità sono vocaboli entrati prepotentemente nel lessico comune dei degustatori di vino contrapponendosi a vecchi termini come potenza, concentrazione e struttura che erano i capisaldi della terminologia enologica degli anni 90.
Questa inversione di tendenza ha determinato, non solo un cambio della piattaforma ampelografica con la valorizzazione di alcuni vitigni dimenticati e poco valorizzati nel decennio anni 90, ma anche una nuova interpretazione enologica capace di esaltare tutte le caratteristiche volte a produrre vini eleganti e di grande finezza organolettica.
Varietà come il Nerello Mascalese in Sicilia, il Sangiovese in Toscana e il Nebbiolo in Piemonte nelle sue accezioni più eleganti e raffinate hanno segnato un cambio stilistico, per certi versi auspicabile, che oggi rappresenta il vino italiano di classe nel Mondo; oggi se il vino italiano vive un nuovo rinascimento è anche perché ha saputo evolversi e dare spazio a vini molto più territoriali ed eleganti.
Negli ultimi anni il cambio stilistico ha coinvolto non solo la valorizzazione di vitigni, soprattutto autoctoni, ma anche il modo di interpretare il vigneto e la cantina: le rese in molto casi si sono fatte meno esasperate, la maturazione delle uve è diventata una questione di grande sensibilità dove non è solo la maturazione zuccherina a determinare l’epoca di raccolta; inoltre in cantina, attraverso vinificazioni meno estrattive e utilizzo dei materiali alternativi al legno nuovo piccolo, abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione che ha coinvolto soprattutto le nuove generazioni di produttori ed enologi capaci di esaltare aree, vitigni e regioni che fino a qualche anno fa erano in alcuni casi marginali nella mappa del vino italiano.
Mi auguro che questa nuova linfa infusa nel vino italiano possa servire a far crescere ancora la consapevolezza nei tecnici e nelle aziende sulla valorizzazione delle differenze territoriali e permettere ai consumatori di apprezzare sempre più il grande patrimonio vitivinicolo italiano».

L’OPINIONE DAL FRIULI
Gianni Menotti 2 volte enologo dell’anno per il Gambero rosso e per Bibenda e consulente di diverse aziende in Italia e all’estero.
«Indubbiamente qualcosa è cambiato! O meglio, una fetta di persone, quella dei più giovani soprattutto, si approccia al vino con gusti diversi rispetto al passato.
Ricercano più la freschezza e la fruttosità che la complessità e la profondità, specialmente nei vini bianchi. In quelli rossi è più una conseguenza. È quindi il gusto giovane che parla una nuova lingua corroborato da opinion leader che promuovono questa nuova tendenza.
Resta però lo zoccolo duro dei “vecchi wine lovers”, quello dei più consumati, quello dove il gusto non è semplicità e facile beva, e che ricerca le sensazioni più recondite che solo un grande rosso può dare. Quindi c’è convivenza tra le due scuole di pensiero e tutte e due trovano i loro spazi piacevolmente riposti tra i seguaci della dinastia di Bacco.
Noi enologi ci adattiamo a queste richieste, senza stravolgere i nostri modi di fare il vino.
Semplicemente si decide in modo opportuno, rispettando le diverse tipologie di vino. Non ci sono particolari alchimie, ma solo diverse interpretazioni del processo enologico.
Si parte prima di tutto dalle uve che avranno maturità diverse, vinificazioni che cambiano solo per ottenere maggiore freschezza e morbidezza, nel caso dei vini giovani e fruttati. Sono vini che devono essere pronti subito, nei quali gli aromi primari dell’uva devono essere preservati e la vinificazione che ne consegue deve prediligere gli aromi fermentativi, quelli secondari derivanti dai processi di esterificazione.
Inoltre, è anche ovvio, non si va alla ricerca di una lunga conservazione, ma tempi di consumo piuttosto brevi. Comunque, non è più semplice ottenere questo tipo di vino!
L’enologo deve essere particolarmente virtuoso; la pulizia del vino è una caratteristica tipica dei vini freschi e ottenerla significa seguire scelte tecniche e tecnologiche particolarmente attente alla conservazione dei precursori aromatici dell’uva
e alla esaltazione degli stessi nel proseguio dei processi di vinificazione e sosta in vasche prima dell’immissione sul mercato.
Mai superare l’asticella della freschezza che poi deborda in troppa complessità, ma allo stesso tempo si deve ricercare una “minore” maturità senza trovarsi immersi in note vegetali così poco gradite in qualsiasi tipo di vino rosso.
Però, lasciatemi adesso parlare dei grandi rossi, quelli che vogliono profondità, grassezza, struttura, tannino e tantissime altre “piacevolezze”.
Beh, qui mi ci trovo con tutto me stesso, voglio le emozioni, voglio trovare il grande lavoro dell’agricoltore, la vigna che si cala nel bicchiere e dove la maturità del frutto diventa prioritaria e tutto si concentra. Per fare questo ci vuole il territorio, quello consacrato dalla storia enologica della zona, un terroir a 360 gradi e che difficilmente scende a compromessi per produrre un vino più “facile”. Sarà difficile trovare un Barolo beverino, oppure un Brunello di Montalcino con sensazioni di “frutta fresca”!
Ma nemmeno un grande Merlot, magari del Friuli, dove vivo e so benissimo che in certi siti dedicati a questi vini monumentali, mai si vorrà fare il “merlottino” di pronta beva.
Qui la vinificazione è più tradizionale rivolta necessariamente all’estrazione del potenziale dell’uva, alla ricerca della pienezza del vino, senza particolari tecnologie, ma grande conoscenza della vigna che poi darà tutta se stessa nella bottiglia e che anche dopo tantissimi anni di conservazione potrà dare immense emozioni.
E quindi lasciamo che il mercato viaggi pure su due binari, che forse non si incontreranno mai, ma entrambi portano alla soddisfazione dei consumatori.
L’enologia è una scienza che permette molte soluzioni nel rispetto del territorio che sarà sempre prioritario nelle scelte produttive. Non potremmo mai stravolgere questo concetto che in noi enologi e in tutti coloro che nel vino si rispecchiano dovrà sempre essere fondamentale. E va bene così!»
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Emiliano Falsini
Gianni Menotti
Consulenti enologici