Nino D'Antonio




Gianni Menotti consegue la laurea nel 1981: poi le prime esperienze di lavoro in una grossa fabbrica di presse meccaniche per uva. È 1'occasione per entrare in contatto con le maggiori cantine e affrontare i primi problemi connessi alle tecniche di vinificazione. Papà Edino intanto va in pensione, e a trentatré anni Gianni è chiamato a sostituirlo nella conduzione di Villa Russiz

C'è una folla di bambini, chiassosi e festanti, nello spiazzo fra Villa Russiz e la piccola chiesa. Una presenza a conferma di quella profonda umanità, che è sempre circolata fra queste mura. Siamo nella seconda metà dell'Ottocento, e il Friuli è terra austriaca. Ma è soprattutto terra di miseria, dove la scarsa nutrizione non manca di mietere vittime, specie tra i bambini. Così i Conti De La Tour destinano la grande soffitta del castello alla prima scuola per fanciulli poveri. Un modo di offrire insieme ai primi rudimenti del leggere, scrivere e far di conto, un letto e un piatto caldo.
La proprietà è vasta, oltre cento ettari, e il conte Teodoro comincia a portare dalla Francia i primi vitigni di Pinot, Sauvignon e Chardonnay, visto che i vini locali rispondono appena a qualche valore nutrizionale. E' un'operazione clandestina, che comporta severe misure in caso di scoperta. Per cui De La Tour nasconde le barbatelle in grossi fasci di fiori, oppure all'interno degli stivali. I celebrati vini del Collio hanno origine da queste operazioni. Poi ci sarà la terra, stretta fra il Carso e l'Adriatico, e ancora la mano sapiente dell'uomo.
Villa Russiz è il regno di Gianni Menotti, classe 1955, alto, fisico asciutto, occhi celesti e mobilissimi in una bella testa alla Yul Brynner, liscia e pulita come il palmo di una mano. Vive qui da quando aveva solo un anno (è nato a Segrado, a qualche chilometro), nella scia del padre Edino, che ha condotto l’azienda e le cantine per una vita. Un'infanzia straordinaria, scandita dai misteriosi fenomeni delle stagioni, dal variare dei frutti, dal confuso e alticcio vociare degli uomini, la sera, fra lunghe partite a carte e brocche di vino. Ma su tutto quel senso di assoluta libertà, che solo la vita all'aperto, in una grande tenuta, fra campi, boschi e vigneti, può dare. Così gli anni di liceo a Gorizia (il capoluogo è quantomai vicino a Capriva), se segnerà il primo distacco da quell’ambiente ai confini con la favola, non provoca in Gianni alcun disorientamento, visto che nel primo pomeriggio è già a casa, a godersi l'aria e i colori della campagna. Lo choc lo avrà, invece, qualche anno dopo a Padova, dove si iscrive alla facoltà di Agraria. L'indubbio fascino della città, il richiamo delle sue architetture, l'animazione del centro, la presenza di migliaia di studenti che sciamano fino a notte alta, non valgono a conquistarlo. Anzi, appena può, Menotti torna a casa, all'atmosfera di campagna.
"Mi rendo conto che la mia reazione può lasciare perplessi. Ma bisogna confrontare la vita vissuta fino ad allora con quella di città ... ". Poi, nell' '81 la laurea con una tesi sul Picolit, e le prime esperienze di lavoro in una grossa fabbrica di presse meccaniche per uva. E' l'occasione per entrare in contatto con le maggiori cantine e affrontare i primi problemi connessi alle tecniche di vinificazione. Papà Edino intanto va in pensione, e a trentatré anni Gianni è chiamato a sostituirlo nella conduzione di Villa Russiz. L'azienda ha una storia di tutto rispetto e gode di parecchio prestigio, ma non è più in linea con i tempi. Per cui Menotti eredita e cambia, deciso a dare una risposta più confacente ai nuovi orientamenti del gusto. Matura, così, quella filosofia che lo porterà a mettere in atto solo tecniche che siano al tempo stesso rispettose del territorio e delle varietà dell'uva. La conseguenza è un'attenta e severa ricerca di quei caratteri distintivi di ogni vino, che si esprimono poi nella sua eleganza e finezza. "I primi esperimenti li ho condotti sul Sauvignon, un vino per me leader in fatto di struttura e profumo. Due straordinari requisiti, fino ad allora mai abbastanza esaltati. Eppure i soli in grado di tradurre al meglio il territorio e di restituirlo nel bouquet di un calice ...". Nel '93 è la volta del Merlot, il Rosso che per Menotti presentava una "connotazione troppo vegetale". L'espressione è piuttosto tecnica e va chiarita. Dietro, c'è l'insufficiente maturazione delle uve, che comporta due fenomeni: la scarsa colorazione e la scarsa maturità fenolica. La via alla ricerca se da un lato non manca di gratificare chi la segue, con metodo e passione, dall'altro diventa un viaggio senza fine. Nel senso che ogni traguardo ne pone altri, e sempre più impegnativi. E' una spirale alla quale è difficile sottrarsi, e Gianni Menotti non fa eccezione. Sauvignon e Merlot sono al top delle due rispettive varietà, ma si può ancora ottenere di più. Vale a dire un maggiore e più sicuro equilibrio, da raggiungere attraverso un uva più selezionata, più matura e quindi più ricca dal punto di vista olfattivo. La nuova strategia impegna Menotti con un lavoro senza precedenti, a cominciare dai vigneti, che aprirà via via le porte a una grande ambizione: sperimentare un Bianco maturato in barrique, dove il legno però non sovrasti la freschezza e la tipologia del vino. Un capolavoro da realizzare con zelo e tenacia, ma soprattutto con fede. "Ho sempre creduto possibile tirar fuori un Bianco che non rimanesse schiacciato dal legno, fin quasi a perdere ogni caratteristica varietale. Il difficile era individuare il vino giusto, adatto cioè a questa integrazione. Alle soglie del Duemila ho scelto lo Chardonnay, e devo dire che gli esiti hanno superato ogni felice previsione". Dalla finestra a piano terra vedo solo il capo incappucciato di due suore, mentre arrivano le voci fresche dei bambini impegnati in una canzoncina religiosa. La ricreazione dev'essere finita, perché lo scalpitio si fa più debole. In alto, alla fine del giardino, si leva il mausoleo del conte De La Tour, a guardia della continuità dell'opera sua. Ma è vuoto, mi dicono. I suoi resti furono trasferiti in Austria. Arriva un caffè, che non merita per niente questo nome. D'altra parte, il Collio è terra di vino, e io sono qui per incontrare chi sa come farlo. La figura dell'enologo si è aperta, in questi ultimi anni, a imprevedibili modificazioni, ed è sempre più controverso, e ricco e vario, il suo ruolo.
Menotti ha in proposito idee ben chiare. "A mio avviso, l'enologo deve tirar fuori anzitutto la personalità del vino. Fare in modo che essa si possa esprimere in pieno, perché, così facendo, afferma anche la propria personalità. Il risultato è un mix fra varie entità: territorio, vitigno, vino. Una sorta di volume perfettamente sferico, sul quale l'uomo è chiamato ad armonizzare i rapporti. Di qui la funzione di interprete, che ormai si riconosce ad ogni buon enologo". Gianni si addentra a questo punto in una serie di considerazioni, che valgono a meglio definire il suo rapporto col vino. A cominciare dal rispetto per la natura, che non può e deve essere modificata. Anche se questo non significa che non si possa agire sulle varie componenti di un'analisi, a condizione che ogni intervento serva a dare equilibrio al vino, così come è stato progettato. In fondo aggiunge - è un po' quello che avviene anche in altre attività, che presentano una componente creativa. "Chi scrive, può anche forzare la sintassi. L’importante, però, è che conosca bene le regole, prima di violarle". Sul tavolo un bel libro fotografico sull'Egitto offre lo spunto per un salto nei vini dell'antichità. Menotti è un tecnico e parte dalla Vitis vinifera, una pianta spontanea che risalirebbe a trecentomila anni fa, come provano i ritrovamenti archeologici. Gli faccio notare che siamo troppo lontani e che non credo ci sia una qualche relazione con il libro sull'Egitto faraonico. "E invece, sì. Perché sono gli Egiziani i primi a sviluppare la coltivazione della vite, e soprattutto a produrre e vendere vino". Parte da qui un disordinato e vivace confronto di memorie e di letture, di rituali mitici e di testarde convenzioni. E, fatalmente, scatta lo scontro sul diverso contributo che i popoli antichi hanno dato alla storia del vino. lo sono per la Grecia. il Symposion non ha confronti. E' un momento di straordinaria socialità e confidenza, in cui il vino trova veramente la sua celebrazione. Intanto, non viene bevuto durante i pasti, riducendolo così a una bevanda per favorire la digestione. Ma solo dopo. Al termine della cena e dopo aver rimosso la tavola. I commensali si ornano il capo con corone di mirto e di edera, l'uno in omaggio ad Afrodite, l'altra a Dioniso, mentre entrano musici e danzatrici. Un rito raffinato, che ha il suo regista nella figura del Symposiarca. E' lui che controlla il numero delle coppe da bere. Non più di tre: una per la salute, un'altra per stimolare i desideri d'amore e la terza per favorire il sonno. La civiltà non ha mai più raggiunto tanto felice equilibrio. Gianni mi ha lasciato dire, ma le sue preferenze vanno al mondo romano. "Quelli sÌ che ci sapevano fare, mi ascolti. Prima, perché il vino lo bevevano a tavola, e mi pare assai più giusto che farne un momento alquanto spettacolare, e poi perché cambiavano il vino ad ogni portata. Non so in base a quali criteri, ma certamente è il segno di una lodevole emancipazione. No, con Roma siamo più avanti. Pensi al pittacium, che accompagnava le loro anfore. E' la prima forma di etichetta per dare un nome vari vini..." Il discorso si allarga a macchia d'olio, e rischia di portarci parecchio lontano. Dalla tecnica di coltivazione della vite presso gli Etruschi a quella più diffusa sull' asse dell'Appia antica, fino alla larga presenza di vitigni autoctoni nel Sud. Un argomento, quest'ultimo, quantomai propizio perché io spezzi un'altra lancia a favore della Grecia, in un momento poco felice per la sua economia. La sola Campania vanta oltre cento vitigni autoctoni, per la quasi totalità di origine ellenica. E insieme alla vite - ricordo a me stesso - dobbiamo ai Greci la grande poesia epica, la filosofia, l'architettura, la mitologia, il teatro, la democrazia. Confesso che non mi capita spesso di ripercorre re la storia dell’enologia (e non solo) con chi fa vino.
I tecnici preferiscono parlare di lieviti, antociani, fermentazione malolattica, temi con i quali hanno una quotidiana confidenza e sanno trattare con assoluta padronanza. E' un implicito riconoscimento a Menotti, che ricambia la mia cortesia. "Certo, è bello ripercorrere le esperienze dei nostri antenati. Ma bisogna imbattersi nell'interlocutore giusto. A noi è capitato, ed è stato un piacere per tutti e due. Un solo rammarico: l'argomento ci ha preso la mano, e le prime ombre della sera mi ricordano che il mio viaggio è lungo e che mi resta ancora da scoprire l'uomo. Per il quale, in verità, sono fermo al radicamento alla terra e alla sua insofferenza per la città. Menotti, un matrimonio alle spalle, due figli ancora ragazzi, sta vivendo una felice intesa su un nuovo fronte. "Definiamola cosÌ. Non amo la parola compagna…”
Mi dice di disporre di poco tempo libero, ma questo non gli impedisce di avere un'intensa attività sportiva: palestra, sci, motocross, tennis. E soprattutto vita all'aria aperta. Parliamo di carattere, di temperamento, di rapporti con gli altri. E qui Gianni non esita a darmi di sé un ritratto piuttosto severo. Ha una decisa tendenza al perfezionismo, che spesso assume forme quasi maniacali, con qualche insofferenza da parte dei suoi collaboratori. E' anche testardo, e non molla mai un progetto nel quale crede. Solo che ne ha sempre qualcuno per le mani. "La verità è che tutto ruota intorno al fatto che sono poco tollerante, così non è facile starmi vicino". Eppure ha una natura romantica. Lo incanta l'incerta luce dell'alba e il rosso acceso dei tramonti, lo scroscio della pioggia e le distese di neve. Tutti fenomeni che ha fissato in fotogrammi di grande suggestione, che confermano da un lato il suo incantamento per la natura e, dall'altro, la tendenza a tenersi lontano da ambienti e luoghi piuttosto frequentati. Così le grandi tavolate, i pranzi sociali, i matrimoni, sono sempre occasioni da evitare. "Per me un pranzo o una cena è sempre e solo per due. Che è poi l'unico modo perché ci sia spazio per sé e per l'altro, ma anche per apprezzare un piatto o gustare un vino. E' un momento intimo, che se diluito, perde il suo requisito migliore". Gianni Menotti ha una scarsa frequentazione con cinema e teatri. E questo, al di là del fatto di vivere in provincia, credo sia da ricondurre alla sua avversione per gli ambienti chiusi e affollati. In cambio, si concede il piacere di vedere qualche bella mostra d'arte ("Dopo l’inaugurazione, non c'è quasi mai nessuno)", specie di pittura figurativa. Le sue preferenze vanno infatti alla grande stagione dell'Ottocento, e soprattutto agli Impressionisti. Ama parecchio il mare, ma non altrettanto la balneazione. Anche per l’'invasione che gli arenili subiscono d'estate. La sua aspirazione è quella di avere una barca, con la quale scoprire insenature e calette dalla costa istriana a quella dalmata. Anche in questo caso, sempre e solo in due. Il mare significa anche la preferenza per la cucina di pesce. Curata senza stravolgimenti, perché non si perdano freschezza e sapori. A tavola, non è di quelli che si lasciano condizionare dai classici abbinamenti, che vogliono un piatto solo con quel vino. "Un Sauvignon ben strutturato può egregiamente accompagnarsi a un piatto di formaggi, al posto di un rituale Merlot".
Veste con cura e sobrietà, senza tenere d'occhio le griffes. Cerca piuttosto la buona qualità del tessuto, che se c'è, si accoppia quasi sempre a una buona confezione. Niente cravatta, ma un corredo di camicie di varia foggia e fantasia, tutte con un colletto alto almeno quattro dita. La preferenza che ha avuto fin da ragazzo per le scienze lo portano ancora oggi verso "letture tecniche, in ogni caso nate sul concreto". Di qui la sporadica presenza di qualche romanzo, in una libreria carica di testi e manuali.
Una ventina d'anni fa ha vissuto un'esperienza da amministratore comunale a Capriva. Ma si è guardato bene dal ripeterla. E' un convinto paladino della verità e della trasparenza, due virtù che non sono proprie della politica. Ha continuato invece a dare la sua collaborazione quale consigliere alla Banca di Credito Cooperativo, dove i numeri non fanno il balletto. Più tranquillo e rasserenante il suo rapporto con la Chiesa. "Credo nei suoi principi e sono un cattolico praticante, anche se non condivido molti "no", che stentano ad essere accettati in una società come la nostra...". Osservo che il divorziato non può considerarsi un osservante, ma Gianni si è costruito un personale codice nei rapporti con la religione. Così ritorno al vino e al suo lavoro di riconosciuto successo. Menotti nel Duemila ha visto il suo Grafin De La Tour giudicato il miglior Bianco dell’Anno, e nel 2006 si è aggiudicato il titolo di Enologo dell'Anno. Senza contare che per più di trenta volte i vini di Villa Russiz hanno vinto i Tre Bicchieri, e altrettante edizioni dei Cinque Grappoli dell'Ais. Un medagliere ricco di riconoscimenti rappresenta senza dubbio la migliore spinta all'attività di ricerca. "Ma io continuo a nutrire un grande sogno.

Che è poi comune a tutti quelli che fanno vino.

Provi un po' a indovinare...".

 

Terre del Vino ottobre 2010