Roberto Tognella




I miei vini sono sfericità

Agronomo ed enologo di lungo corso, Gianni Menotti è riconosciuto e premiato dalla critica per i suoi vini di equilibrio, che nascono da una singolare capacità di carpire e interpretare i messaggi della natura.
Gianni Menotti,
“Miglior enologo dell’anno” 2012
Quando nelle elegantissime sale del Rome Cavalieri, in occasione degli Oscar del Vino, evento tra i più attesi nel comparto enologico, Gianni Menotti ha ricevuto il prestigioso e ambito riconoscimento di “Miglior enologo dell’anno” l’emozione, per questo agronomo ed enologo friulano, è stata intensissima, indimenticabile. È stato il coronamento di un lungo e appassionato percorso professionale compiuto in una regione straordinariamente enoica, il Friuli Venezia Giulia, così inimitabile per i suoi terroir, dove l’incontro tra il mare e la terra regala bianchi insuperabili per struttura e percezioni olfattive. Importante compito di chi tra quei vigneti lavora è saper cogliere di anno in anno i messaggi di una natura così prodiga e trasmetterli in un vino attraverso uno stile proprio, unico, riconoscibile. Questo Gianni Menotti lo ha fatto per oltre vent’anni in una prestigiosa azienda del Collio cercando l’elegante equilibrio, la “sfericità” nei suoi vini. Ora, aprendosi oltre regione, da consulente e libero professionista, continua a farlo, pensando anche a esperienze internazionali con terroir meno noti o sconosciuti per mettere alla prova un bagaglio ricco e invidiabile di esperienze.

Gianni Menotti, il vino è un “mestiere” di famiglia…
Se ne occupò amatorialmente mio nonno, in maniera professionale, per tutta una vita, mio padre, a partire dal Dopoguerra. Io presi una laurea a Padova in Agraria, mi specializzai poi in enologia, acquisendo anche il titolo di enologo, e continuai sulle orme paterne. Questo nel vero senso della parola, perché nel 1989 gli succedetti alla guida di Villa Russiz, azienda agricola goriziana vocata alla produzione di vini della denominazione d’origine controllata del Collio. Fu una fortunata coincidenza, ma anche un percorso per me logico che dava continuità a un’esperienza incominciata da bambino tra le botti in cantina, tra i filari di vite nell’ampia distesa di vigneti dell’azienda.

Che cosa ricorda di “quell’infanzia enologica”?
I profumi di cantina, ma ricordo anche con affetto e nostalgia quella vita spensierata che un tempo il mondo agreste regalava, quell’andare un po’ a rilento, al passo con il ciclico divenire della natura. Quella lentezza, quasi meditativa, permetteva di carpire con sorprendente immediatezza il linguaggio della natura, i messaggi che essa, prodiga, trasmetteva.

La meccanizzazione ha un po’ strappato il mondo agreste a questo lento divenire…
…dando però l’opportunità di lavorare in condizioni migliori. D’accordo il vivere bucolico, gli spazi, la quiete, ma quello era anche un mondo di fatica, di pesante e duro lavoro. La macchina, di per sé, non si è  portata via nulla, è piuttosto questa esasperante, continua corsa alla tecnologia, questo voler velocizzare ogni cosa che ha snaturato anche i ritmi dell’agricoltura. L’uva ha oggi un percorso vegetativo più breve rispetto al passato, e questo a seguito del forte impatto del progresso e dell’industrializzazione sul clima.

Da agronomo ed enologo, inizia l’attività professionale.
Prima di approdare a Villa Russiz, feci una breve esperienza nella vendita di tecnologia di alta gamma per il settore vitivinicolo, questo mi diede la possibilità di ampliare i miei orizzonti su un mondo enoico fino a quel giorno limitato ai 40 ha di vigneto dove mio padre lavorava. Visitai aziende agricole importanti, fu un’esperienza preziosa che portai con me. I miei esordi, dopo il “passaggio di testimone”, furono caratterizzati dall’idea di rinnovamento: volevo e dovevo portare un messaggio innovativo in azienda frutto dei miei studi universitari, farlo in armonia con il percorso agricolo naturale, rappresentava la difficile sfida. Bisognava stare con i piedi per terra!

La natura conduce il gioco…
È il territorio, il terroir, quell’insieme complesso di elementi pedoclimatici e antropici, che fa il vino. L’agronomo, l’enologo è un semplice ma abile interprete e trasformatore di quella proposta, agronomica prima ed enologica poi, che annualmente la natura regala. Il suo compito è quello di trasformare l’uva in vino, svelando, con capacità e misurata tecnica, questo messaggio, senza fuorviarlo. Il vino, che io considero, è un vino d’equilibrio. È la natura stessa a regalare questo equilibrio, ogni terroir ne ha uno, basta ascoltare, capire…
Da oltre 25 anni nel mondo del vino, un percorso professionale che Gianni Menotti ha compiuto in una regione straordinariamente enoica, il Friuli Venezia Giulia, così inimitabile per i suoi terroir, dove l’incontro tra il mare e la terra regala bianchi insuperabili per struttura e percezioni olfattive

Capire il vino…
Capire il vino è una fase del processo di trasformazione che, a un certo punto, ha termine; il tecnico non deve andar oltre le potenzialità dell’uva che coltiva, forzando e storpiando la natura. Io non ho mai voluto eccedere, forzare, deviare da quel processo naturale; anche a costo di lasciare piccole spigolature nel vino…! Chiamiamole difetti? Imperfezioni… purché non lo siano dal punto di vista organolettico − tutto il processo di trasformazione deve essere inserito in un percorso di qualità, riducendo al minimo i difetti −, imperfezioni capaci di regalare un’identità al vino. D’altronde se procedessimo da manuale, eliminandole, standardizzeremo il tutto, globalizzeremo anche il vino con il pericoloso rischio di giocarcela solo in termini di prezzo, e qui chiuderemmo subito la partita, perdendola, con competitor agguerriti e capaci come quelli del Nuovo Mondo.

Il Terroir, prezioso alleato. Quello del Friuli Venezia Giulia è inimitabile e particolarissimo.
Adoro in maniera sconsiderata il territorio friulano, quello nel quale sono nato, ho vissuto, ho iniziato il mio percorso enologico. Il Friuli è una terra baciata dalla natura per produrre grandi vini bianchi, ma in alcuni siti anche grandi vini rossi. La sua collocazione geografica riveste un ruolo chiave, vicino al mare, vicino alla montagna… Dell’atmosfera del mare l’uva si avvolge durante la maturità: i venti caldi che soffiano dalla costa portano una maturità importante al grappolo. Per contro, di sera, sempre durante la maturazione, l’uva trae grande giovamento dai venti freschi della montagna. C’è un continuo bilanciamento tra mare e montagna che nel vino si sente e porta a equilibri importanti fatti di alti valori enologici e, a volte, di gradazioni alcoliche sostenute.
L’alcol nel vino non vive oggi un momento di favore…
… ma è un elemento importante che del vino stesso fa parte. Anche se, anche qui, l’equilibrio è fondamentale.

Una lunga esperienza professionale nel Collio. Che cosa ricorda di quegli anni?
Ricordo un progetto, che poi è stato un vero e proprio percorso enologico focalizzato su un vitigno che adoravo, e tutt’ora adoro, il Sauvignon. Mi è piaciuto proporre questo vitigno verso gli anni ‘90 quando non c’erano ancora i Sauvignon attuali. Questo percorso era volto a portare un equilibrio tra la parte olfattiva di questo vitigno, evidentissima, e la parte strutturale, quella di bocca, che emerge dall’influenza del terroir friulano; un equilibrio, come amo sottolineare, spostato verso alto, un equilibrio di valori.

Il tema dell’equilibrio è ricorrente nella sua visione enoica…
Quello che mi è sempre piaciuto è cercare nei vini, frutto del territorio, una loro “sfericità” senza spigoli. Questo per me è equilibrio, questo il concetto che, come libero professionista porto ora avanti.

Oggi è un libero professionista.
Oggi intraprendo il mio lavoro con una libertà mentale professionale nuova, molto più ampia, anche se, ammetto, la libera professione può apparire di questi tempi una scelta impegnativa… Una scelta però foriera di un rinnovato e autentico entusiasmo, che nasce dalla possibilità di ampliare i miei orizzonti professionali lavorando per più aziende, non solo friulane, ma venete, sarde, campane…

Nuovi terroir…
Le problematiche che mi trovo ad affrontare, lavorando in terroir diversi, sono esse pure leggermente diverse, ma non così lontane da quelle che già ho vissuto, metabolizzato, superato. Il terroir friulano, straordinario e complesso, è stato un’eccezionale palestra professionale. Il bagaglio di conoscenze e di esperienze che mi ha permesso di maturare, lo porto oggi con me, a disposizione delle nuove occasioni di lavoro; porto con me il mio stile del far vino, nel segno dell’equilibrio, del rispetto del territorio, della massimizzazione della proposta naturale. Coniugare queste diversità che incontro con uno stile personale rappresenta la chiusura di un cerchio.

Uno stile, il suo, che la critica esalta e riconosce!
Durante il mio percorso lavorativo, diversi sono stati i riconoscimenti della critica. Tappe fondamentali di una professione, una sorta di cartina tornasole del proprio operato. C’è stato il premio “Vino bianco dell’anno” con la Guida “Vini d’Italia” del Gambero Rosso e nel 2006, sempre con la stessa guida, il riconoscimento come Enologo dell’anno.

Nel 2012 la consacrazione all’Oscar del Vino.
Miglior enologo d’Italia…
Quando mi è stato consegnato il titolo a Roma, l’emozione è stata intensissima, incalcolabile! Un traguardo professionale che mi ha regalato un’energia incredibile.

Resta ancora un sogno nel cassetto?
Continuare a produrre vini nei quali ho sempre creduto, vini di grande equilibrio, equilibrio che cambia di anno in anno. La diversità tra un’annata e l’altra in un percorso enologico è fondamentale: riconoscere in una verticale del medesimo vino, la “stessa mano”, lo stile dell’enologo che l’ha prodotto, è sicuramente una gratificazione importante! Per questo ogni anno è per me un intrigante inizio: azzerare per comprendere appieno il messaggio che la natura, il terroir è pronto a suggerirti. Questo messaggio vorrei portarlo in altre regioni d’Italia, magari all’estero in territori che conosco meno, sarebbe interessante raccogliere questa nuova sfida…

Dal punto di vista agronomico come si concilia questo pensiero?
I percorsi naturali, per loro definizione, sono nel DNA dell’uva, della pianta. Si tratta di capire quale sia l’intervento tecnico più in armonia con il messaggio naturale, quello che dà alla pianta la possibilità di reagire, senza peraltro essere invasivo. Irrigare, defoliare, produrre più o meno uva, impiantare su un versante piuttosto che un altro, sono alcuni dei molti elementi che l’uomo ha a disposizione per interpretare al meglio questo messaggio naturale e dare l’opportunità alla pianta di massimizzare la sua proposta agronomica prima, enologica poi.

Uno sguardo, infine, ai vini friulani.
La qualità dei nostri vini è ormai consolidata, il vino friulano è ben equilibrato, strutturato, nel contempo profumato e caratterizzato da una pronunciata territorialità. Questo è un punto di partenza fondamentale e non credo che nei prossimi anni ci saranno importanti cambiamenti. Qualcuno potrebbe proporre delle novità enologiche, come è avvenuto negli ultimi anni con dei vini macerati, ma niente più, la definizione di vino friulano è ormai ben chiara a tutti, o quasi…

Che cosa intende?
Quello che manca, forse, è la riconoscibilità a livello internazionale. Fondamentale sarà quindi una comunicazione più decisa. Purtroppo la marginalità geografica di questa nostra terra non aiuta a questo fine, nemmeno aiutano le molte barriere burocratiche che si frappongono in tal senso… La voglia di emergere e farsi conoscere però non manca!


«Capire il vino è una fase del processo di trasformazione che, a un certo punto, ha termine; il tecnico non deve andar oltre le potenzialità dell’uva che coltiva, forzando e storpiando la natura. Io non ho mai voluto eccedere, forzare, deviare da quel processo naturale; anche a costo di lasciare piccole spigolature nel vino»

 

Imbottigliamento 3 aprile 2013